Com’era l’iter per l’approvazione dei farmaci, da parte delle autorità sanitarie?
Molto diverso da quello di oggi ma, in ogni caso, anche quarant’anni fa bisognava preparare un complesso dossier di registrazione, all’interno del quale era necessario indicare le caratteristiche tecniche del prodotto e il loro effetto. Nel caso del Flector, invece di ricorrere a un gel, o a una crema da strofinare sulla gamba (come accadeva di solito), abbiamo dimostrato che bastava applicare il nostro cerotto nel punto dolente, per ottenere un’attività antinfiammatoria.
Quindi, Lei ha avuto l’idea e poi l’avete sviluppata fra di voi...
C’erano pochissime persone nella IBSA di allora. Abbiamo utilizzato anche centri esterni, per i test. Sono state eseguite molte prove, in laboratorio e in ospedale, e si è visto che il farmaco aveva un ottimo effetto. Così abbiamo cominciato a produrlo. O, meglio, lo facevamo produrre in Giappone.
Questo avrà avuto un costo, che si sommava a quelli generali per la gestione dell’azienda...
Sì, certo. Se mi chiede quanti miei soldi personali ho investito, glielo dico subito: avevo 1,2 milioni di franchi, ottenuti ipotecando la casa e raccogliendo tutti i miei risparmi, più un debito verso IBSA di 2,4 milioni (per eseguire l’aumento di capitale), che liberavo a seconda delle necessità, facendomi prestare i soldi dalle banche. È stata una questione di fortuna... Se Lei ha fortuna, ci azzecca, come quando va al casinò: se dice rosso ed esce rosso, ha vinto; se esce nero, ha perso.
Non basta solo questo... Per andare avanti e realizzare i propri progetti, soprattutto quelli più arditi, occorrono anche costanza, coraggio e cervello, come Lei ha detto in varie occasioni.
Sì, ma ci vuole fortuna! Se non c’è quella, se non arriva, si fallisce.