Conversazione con Claudia Scarsi Perler, Sr R&D Scientific Affairs Manager di IBSA Group

Ogni farmaco deve soddisfare tre aspetti fondamentali: qualità, efficacia e sicurezza. Il reparto R&D Scientific Affairs è responsabile degli ultimi due, efficacia e sicurezza. In IBSA, Claudia Scarsi Perler ricopre il ruolo di Sr R&D Scientific Affairs Manager ed è dedicata all’area terapeutica endocrinologia (tiroide). Oggi ci parla della sua esperienza in IBSA e di come efficacia e sicurezza si inseriscono nella quotidianità del suo lavoro.

PUÒ RACCONTARCI PIÙ NEL DETTAGLIO DI CHE COSA SI OCCUPA?

Il reparto di cui faccio parte, l’R&D Scientific Affairs, si occupa della ricerca e dello sviluppo dei farmaci (e dei dispositivi medici) IBSA. Una volta messa a punto una nuova formulazione – a volte anche prima – raccogliamo il testimone dal reparto R&D Pharmaceutical per avviare tutti gli studi necessari a dimostrare che il farmaco è sicuro ed efficace nel trattare una determinata indicazione. 

In qualità di Senior R&D Scientific Affairs Manager mi occupo della definizione del piano di sviluppo preclinico e clinico del prodotto, e di coordinare le attività correlate, dal disegno dei singoli studi alla loro implementazione, fino alla presentazione dei risultati alle autorità regolatorie e alla loro pubblicazione. 

Io sono responsabile dell’area terapeutica endocrinologia e, oltre che con l’R&D Pharmaceutical, lavoro a stretto contatto con gli Affari Regolatori e con il Marketing: molti studi, infatti, hanno come scopo la registrazione del prodotto, ma altrettanti partono da esigenze commerciali. All’esterno, abbiamo contatti con le autorità regolatorie, i comitati etici e i medici, i centri ospedalieri e le organizzazioni di ricerca che svolgono le sperimentazioni su nostro incarico.

QUALE CONSIDERA LA SFIDA PRINCIPALE DEL SUO LAVORO?

La parte più difficile e critica del lavoro di Scientific Affairs Manager è, una volta chiarito il fine strategico, tradurlo in un obiettivo di ricerca che sia rilevante e al tempo stesso raggiungibile. Ciò implica la capacità di costruire uno studio clinico fattibile, che sia (idealmente) ineccepibile a livello di metodo e realizzabile entro i limiti di tempo e budget fissati. Si tratta di un compito che a volte può essere molto sfidante. Inoltre, è anche molto delicato, in quanto i risultati si vedranno solo dopo 2-3 o più anni e a investimento concluso, e non abbiamo la possibilità di “aggiustare il tiro” in corso d’opera. 

Segue la fase di set-up dello studio, in cui bisogna programmare tutte le attività necessarie e coordinare le parti coinvolte, definire nel dettaglio flussi, processi, responsabilità, e prevedere i rischi e le azioni per mitigarli, in modo che tutti gli ingranaggi del meccanismo funzionino all’unisono e senza incepparsi nella realizzazione della parte più propriamente clinica dello studio. Infine, una volta attivato lo studio, non ci resta che risolvere gli imprevisti e le potenziali criticità che quotidianamente si presentano… 

QUAL È STATA L’EVOLUZIONE NEL TEMPO DELLE ATTIVITÀ DEL SUO DIPARTIMENTO?

L’evoluzione delle attività nel reparto di R&D Scientific Affairs è stata enorme, basti pensare che quando ho iniziato nel 2004 eravamo poco più di 10 persone e oggi siamo circa 30. Questo è principalmente dovuto a tre fattori. 

Da un lato c’è stata una vera e propria esplosione della regolamentazione della ricerca clinica. Fino al 1995 non esistevano nemmeno le norme base della “Buona Pratica Clinica”, mentre oggi ogni singolo aspetto della ricerca è regolamentato da ciascun Paese in maniera molto specifica, e nuove norme vengono emesse e aggiornate regolarmente. Dobbiamo quindi essere costantemente “sul pezzo” e molto del nostro lavoro è volto a garantire la compliance. 

Di pari passo c’è stato un aumento della complessità della ricerca clinica, con più informazioni, fattori e metodologie da tenere in considerazione nel disegnare uno studio (basti considerare l’aumento esponenziale del numero di pubblicazioni scientifiche negli ultimi anni). 

Da ultimo, la digitalizzazione: se nel 2004 dati e documenti erano prevalentemente raccolti su carta, oggi tutte le parti in gioco (aziende, investigatori, pazienti) dispongono di strumenti informatici che consentono – e impongono – una gestione immediata, ovunque e in qualsiasi momento. Tutto questo si è tradotto nella necessità di una sempre maggiore specializzazione, ma purtroppo anche in un aumento di costi e tempi. La ricerca clinica richiede oggi un grande impegno e dobbiamo essere accorti e selettivi nelle nostre scelte. 

I PILASTRI DI IBSA SONO PERSONA, INNOVAZIONE, QUALITÀ E RESPONSABILITÀ. QUALI FRA QUESTI SENTE PIÙ VICINI ALLE SUE ATTIVITÀ QUOTIDIANE? IN CHE TERMINI?

La Qualità è imprescindibile dalla ricerca clinica, poiché ogni studio deve passare al vaglio delle autorità e della comunità scientifica. 

Apprezzo moltissimo l’attenzione di IBSA per la Persona, che fa parte del suo DNA. Nei miei 17 anni (compiuti da poco!) di lavoro presso IBSA è infatti rimasta una costante; ho potuto constatarlo personalmente anche in tempi recenti e di questo sono molto riconoscente. Nel nostro reparto cerchiamo di trasferire questa attenzione per le Persone verso l’esterno, cercando di conoscere chi lavora per noi e di stabilire un contatto. Trovo, infatti, che l’aspetto del contatto umano sia estremamente motivante nel nostro lavoro.

Da ultimo, la Responsabilità è un pilastro base per l’R&D Scientific Affairs, sia perché ogni studio è sottoposto al giudizio delle autorità regolatorie e della comunità scientifica, sia perché abbiamo un contatto, seppur indiretto, con i pazienti. Di loro conosciamo solo un numero assegnato in maniera casuale e una serie di dati anonimi raccolti nell’ambito dello studio clinico, ma è forte la consapevolezza che dietro questi numeri ci sia una Persona, con una storia di malattia e tutto ciò che questo comporta. È dunque inevitabile un senso di responsabilità nei loro confronti.